DIGITAL NIGHT – I talenti che rivoluzionano il mondo digitale

Fabio Viola al centro con Luca Mauriello (vicepresidente ATED Ti)

Resort Collina d’Oro – 24 novembre 2022.  Si è tenuta, ieri sera, un interessante incontro divulgativo e scientifico, organizzata da ATED ICT Ticino e Formati Academy, con Fabio Viola, quarantaduenne laureato in archeologia e che da anni esercita la professione di “Metaverse e videogame designer” nonché curatore di mostre museali digitali. E altro ancora… in poche parole un talento nell’era digitale. 

Serata magistralmente condotta da Luca Mauriello, vice Presidente di Ated, ha subito impostato un dialogo con Fabio Viola partendo da un word cloud da cui sono emerse delle parole chiave sul tema del digitale e sulle implicazioni che esso esercita nel nostro vivere quotidiano. 

Emerge da subito il tema della gamification in tutte le sue sfaccettature. È vero che il termine rappresenta la radice del gioco ma non solo pensato in senso ludico. In un secolo dove i giovani vogliono “fare le cose” ci si impegna anche passando dal gioco, inteso come una modalità e disciplina orizzontale per progettare l’esperienza. È un approccio che coinvolge le persone perché se faccio qualcosa, allora imparo. Come ha ben rappresentato il pedagogista Edgar Dale nel cono dell’apprendimento. Fabio ci porta svariati esempi di questa metodologia, dove, per esempio, persino gli operai della Fiat passano da giochi strutturati in ambito digitale per apprendere metodologie di lavoro innovative. Per questo motivo, a suo avviso, la scuola oggi ha ancora un approccio ed un modello novecentesco. 

Non ama essere definito un “professore universitario” ed ha passato metà della sua vita giocando e l’altra metà facendo giocare gli altri. Tocca il tema della passione come motore trainante anche in ambito lavorativo e ci spiega come il gioco, oppure una formazione giocata, può incentivare i giovani ad esprimere la propria creatività nel mondo reale. Interessante spunto sulle ricerche mondiali sul gioco pensato come medicina e ci spiega che esiste già il “farmaco digitale” o le così dette terapie digitali. Il gioco, in sintesi è un bisogno sia per i giovani che gli adulti. Le statistiche, in tal senso, lo evidenziano in modo chiaro, soprattutto quelle legate all’incremento del gioco digitale tra gli anziani. Scaturisce una riflessione interessante dove il dialogo tra generazioni passa attraverso il gioco. Creare un gioco, passando dallo storytelling, ha permesso a Fabio di progettare percorsi museali in Italia, usando il video gioco come storia da raccontare e riversarla sui visitatori come esperienza immersiva. Stesso principio quando si vuole far conoscere le città ad un turista passando dal gioco, così come è già stato realizzato in diverse città. 

La serata si è conclusa in un clima cordiale, con molte domande aperte ed interessanti spunti d riflessione. Toccati molti aspetti concreti come le città del futuro e come si esprime oggi la formazione a tutti i livelli con un approccio sempre più mediato dalla tecnologia. 

Di Fabio, indubbiamente un talento, mi ha colpito molto su come è riuscito nella sua vita ad abbinare l’elemento dell’archeologia passione per il mondo antico, con la tecnologia passione per l’innovazione e la tecnica. Entrambi i termini legati dal “lògos” cioè dal discorso o studio e perché no, dalla passione per il gioco. 

Paolo Vendola

Assemblea Generale ACFE 2014. Centro Familiare di Berna, quale futuro?

Centro Familiare di Berna, quale futuro?

Assemblea generale dell’associazione, presentazione delle attività 2014 e del nuovo mandato di progetto e attività del Direttivo.

Berna, febbraio  2014 – Si è tenuto a Berna, lo scorso sabato 22 febbraio, nella Sala Scalabrini, presso la MCI, l’assemblea generale ordinaria dell’associazione ACFE (Associazione Centro Familiare Emigrati), ente che vanta una presenza più che trentennale nel territorio bernese e dintorni, cooperando attivamente con la MCI di Berna e di Bienne. Ha aperto i lavori dell’assemblea, la Presidente uscente dell’ACFE, dott.ssa Anna Pompei-Rüdeberg che ha presentato gli ospiti presenti in sala non senza richiamare alla memoria dei presenti la recente scomparsa di Emirano Colombo colonna portante della stessa associazione e per tradizione Presidente di giornata in momenti come quello trascorso.

La parola è poi passata alla prof.ssa Ilia Bestetti Izar nominata Presidente di giornata per coordinare e condurre i lavori ed ha iniziato dai saluti pervenuti da quanti non hanno potuto prendere parte all’assemblea. La dott.ssa Fiammetta Acernese si è offerta ed è stata eletta quale verbalista d’eccezione. Tra i presenti, vi era anche il missionario della MCI di Berna, P. Enrico Romanò (attuale membro del comitato ACFE), la dott.ssa Gerda Hauck, membro della Kleiner Kirchernrat (KKR) di Berna. La signora Hauck, insieme alla dott.ssa Rüdeberg, Antonio Perissinnotto e a Padre Pino Cervini (Missionario a Soletta e coordinatore zonale dei missionari delle MCI della regione Berna-Giura bernese), fa parte del Gruppo di lavoro della Chiesa cattolica svizzera: gruppo molto attivo e attento alle problematiche dell’emigrazione e dell’integrazione dei cantoni di Berna/Soletta.

La relazione della Presidente e i punti salienti delle attività svolte. Dopo la parte formale sulla relazione amministrativa e della tenuta contabile dell’associazione, si è proceduto all’ammissione dei sei nuovi soci, alla nomina dei membri del Comitato Direttivo (Padre Pino Cervini, Padre Enrico Romanò, Umberto Castra, Antonio Perissinotto, Alex Widmer e nuovamente elette la dott.ssa Silvia Colombo Remund e la prof.ssa Ilia Bestetti Izar) e all’elezione del Presidente: all’unanimità è stata rieletta la dott.ssa Anna Pompei-Rüdeberg. Si è dato ampio spazio alla relazione della Presidente dell’ACFE che ha fatto un excursus sulle attività svolte dal centro e sull’importanza di proseguire le attività anche con l’attivazione di progetti specifici che toccano da vicino le tematiche portate avanti dal Centro Familiare sulla sofferenza e solitudine uomo/donna nella famiglia: tutto ciò sullo sfondo di una domanda essenziale sul futuro del Centro Familiare dopo la sospensione dei contributi; nonostante si sia passato dalle 350 consulenze del 2009 a oltre 530 nel 2013.

La questione dei contributi e delle attività. Quello dei contributi e del finanziamento della stessa sede associativa è stato elemento predominante dell’intero dibattito con la discussione di alcune ipotesi concrete a sostegno del lavoro e della presenza futura del Centro Familiare. Molti hanno ricordato come il Centro Familiare già in passato è stato all’avanguardia con la promozione della scuola per i genitori, con i corsi sulla bioetica, dell’assistenza e della qualità di vita dei nostri anziani, per non parlare del sostegno morale dato a molte e tante famiglie in difficoltà. La dott.ssa Angela Carlucci, Presidente dell’ADISPO, ha ricordato l’importanza di fare appello ad altre associazioni per far conoscere il lavoro svolto dal Centro Familiare e, inoltre, si è messa a disposizione attivandosi per il fundraising verificando dove e come reperire fondi a sostegno delle attività del Centro oltre che a supporto per la copertura dei costi fissi. Anche l’avvocato Vincenzo Amberg, collaboratore volontario del Centro Familiare, nel suo intervento a sostegno del lavoro del Centro ha ricordato un proverbio tedesco dicendo che Dove c’è volontà c’è anche una strada” (Wo ein Wille ist, ist auch ein Weg).

Il vero senso del volontariato. Insomma è quel “volere è potere” se inteso come volontà di un gruppo di persone che crede in questo lavoro di volontariato a supporto dei più deboli, di coloro i quali vivono situazioni di fragilità psico-emozionale e che non hanno possibilità, anche per difficoltà linguistiche, di rivolgersi presso enti cittadini preposti al sostegno e/o alla consulenza personale. A più ripresa si è paragonato il lavoro del Centro Familiare come a quella di una candela che deve essere alimentata e mantenuta accesa per dare una speranza a quanti cercano la solidarietà, una voce amica ma anche un vero e proprio sostegno psicologico da parte di esperti del campo. In questo lavoro di supporto e collaborazione tra MCI e associazioni di volontari, come l’ACFE, cito Sofocle quando affermava che “L’opera umana più bella è di essere utile al prossimo”. Ed è proprio quel prossimo più vicino a noi, il più debole o l’emarginato e lo stesso migrante, che è posto al centro dell’attenzione degli operatori del Centro Familiare che, con il proprio tempo libero, contribuiscono con la propria volontà a mantenere vivo e percorribile il sentiero della solidarietà.

Paolo Vendola

Progetto LUI e la famiglia

Progetto LUI e la famiglia dell’associazione ACFE e ADISPO di Berna.

Assemblea generale dell’associazione, presentazione delle attività 2013 e del particolare progetto del Centro sulla conciliazione famiglia-lavoro presentato all’UFU (Ufficio Federale per l’Uguaglianza fra la donna e l’uomo).

Berna, maggio 2013 – Si è tenuto a Berna, lo scorso sabato 4 maggio, presso la MCI, l’assemblea generale ordinaria dell’associazione ACFE (Associazione Centro Familiare Emigrati), ente che vanta una presenza più che trentennale nel territorio bernese e dintorni. Ha aperto i lavori dell’assemblea, la Presidente dell’ACFE, dott.ssa Anna Pompei-Rüdeberg che ha presentato gli ospiti presenti in sala. Il dott. Zampini, responsabile degli affari sociali dell’ambasciata italiana, ha portato i saluti dell’ambasciatore dott.ssa Carla Zuppetti. Presente alla riunione anche la dott.ssa Gerda Hauck, membro della Kleiner Kirchernrat (KKR) di Berna. La signora Hauck, insieme alla dott.ssa Rüdeberg e a Padre Pino Cervini (Missionario a Soletta e coordinatore zonale dei missionari delle MCI della regione Berna-Giura bernese) fanno parte del “Gruppo di lavoro della Chiesa cattolica svizzera”: gruppo molto attivo e attento alle problematiche dell’emigrazione e dell’integrazione dei cantoni di Berna/Soletta.Tra i presenti, vi erano anche il missionario della MCI di Berna, P. Enrico Romanò (attuale membro del comitato ACFE) e Padre Enzo Moretto che per molti anni è stato anche membro del Comitato.
Presentazione delle attività ACFE. Dopo la parte formale sulla relazione amministrativa e della tenuta contabile dell’associazione, si è dato ampio spazio alla relazione della Presidente dell’ACFE che ha fatto un excursus sulle attività svolte dal centro e sull’importanza di proseguire le attività anche con l’attivazione di progetti specifici che toccano da vicino le tematiche del centro. Difatti, grazie all’esperienza più che decennale dell’associazione, si è voluto intraprendere un progetto di conciliazione famiglia-lavoro denominato “LUI e la famiglia” presentato all’UFU (Ufficio federale per l’Uguaglianza fra la donna e l’uomo) per l’ottenimento di un sostegno finanziario per l’esecuzione dello stesso. L’idea che sta alla base del progetto, è quello di sviluppare un percorso di sostegno atto a riequilibrare il disagio identitario, soprattutto degli uomini, di fronte alla necessità di una conciliazione tra la vita familiare e quella professionale. Lo stesso, difatti, anche se ben integrato nella società e nel mondo del lavoro, si trova spesso in una situazione di fragilità psico-emozionale.
Un’associazione attenta alle problematiche del territorio. Sulla base delle esperienze maturate nell’ACFE e delle testimonianze raccolte anche dall’associazione ADISPO sulle pari opportunità e sulla possibile conciliazione, il team di progetto ha sviluppato un’offerta formativa e di consulenza per uomini che intendono lavorare a tempo parziale conciliando al meglio la famiglia con il lavoro. Il lavoro svolto dall’ACFE e che ancora svolge in concertazione con la MCI, ben si avvicina alle tematiche del progetto perché va ad integrarsi e si integra con le attività delle strutture locali, inoltre interviene in quella fascia di popolazione di origine italiana che chiede supporto/assistenza alle realtà missionarie. Sviluppare un progetto di questo tipo, vuol dire mettere in rete le Missioni, le autorità svizzere locali che mettono al centro e sono sensibili alle tematiche della sofferenza e della solitudine uomo/donna nella famiglia. La stessa dott.ssa Hauck ha ribadito la volontà di sostegno all’ACFE, anche da un punto di vista finanziario, di fronte a questa forte intenzione di restare ancorati nel territorio con il supporto delle MCI. Lo stesso Padre Pino Cervini di Soletta ha sottolineato quest’aspetto ribadendo che è d’accordo a contribuire validamente all’ACFE perché, afferma: “Non dobbiamo essere missionari unicamente sul territorio ma anche dentro le nostre Chiese”.
Solidarietà e volontariato. Di fronte a questo bell’esempio di solidarietà tra MCI e associazioni di volontari, come l’ACFE, mi è venuto in mente una citazione del Beato G. B. Scalabrini che diceva: “Emigrano i semi sulle ali dei venti, emigrano le piante da continente a continente, portati dalle correnti delle acque, emigrano gli uccelli e gli animali e più di tutti emigra l’uomo…”. Questo il senso profondo di quanti operando nel sociale, nel sostegno ai più deboli e dei migranti, nella volontà di aiutare a conciliare lavoro e famiglia mettono a disposizione il proprio tempo per riaffermare l’importanza della solidarietà che passa da un concreto sostegno anche attraverso l’ausilio di strutture organizzate nel territorio.                                                          

Paolo Vendola

La saggezza d’argento.

La saggezza d’argento.

Filosofia di vita e psicologia della salute per una attiva terza età. L’UNITRE Berna-Bienne a colloquio con gli autori del libro, gli psicologi Dott. Peirone e Dott.ssa Gerardi.

Berna, 1° novembre 2012 – Lo scorso giovedì, a Berna si è tenuto il primo dei quattro incontri con gli psicologi psicoterapeuti, Luciano Peirone ed Elena Gerardi invitati, nell’ambito di un evento federale UNITRE, dalla Presidente dell’UNITRE di Berna-Bienne, dott.ssa Anna Rüdeberg, a parlare del loro ultimo libro “La saggezza d’argento” nonché a scambiare pareri e “dare” qualche consiglio ed un nuovo approccio, una nuova filosofia di vita per una sana e attiva terza età.

  La serata è stata introdotta dalla prof.ssa Ilia Bestetti Izar (Direttrice dei corsi Unitre di Berna)portavoce dei saluti della Presidente dell’UNITRE italiana, Irma Maria Re, che ha concluso dicendo: ”Dobbiamo aggiungere vita agli anni e non anni alla vita” dando poi la parola ai relatori. Questa conferenza, infatti, capita proprio nell’anno europeo “Dell’invecchiamento attivo e della solidarietà tra le generazioni 2012“ (European Year for Active Ageing and Solidarity between Generations 2012 – EY2012) e il testo prodotto dagli autori entra in uno dei programmi europei denominato “Progetto Ánthrōpos”. Gli autori fanno un breve excursus proprio sull’UNITRE che dopo essere stata fondata a Tolosa nel 1973 ha visto poi la prima realizzazione a Torino nel 1975 e che conta oggi più di 5000 studenti con oltre 160 corsi e 180 docenti da gestire. Oggi, l’UNITRE è la quinta università popolare nel mondo dopo quella di Pechino, di Lione e altre, oggi è diffusa anche in Svizzera e in Sud America a Buenos Aires.

Una nuova longevità. Siamo di fronte ad una “nuova longevità”, come ha ben spiegato il dott. Peirone, se pensiamo che oggi la vita media per le persone è di 81 anni per gli uomini e 87 per le donne, detta in una battuta che rende l’idea dell’allungamento del ciclo della vita: “Le donne invecchiano e gli uomini muoiono”!
Solo nel ‘800 il ciclo di vita medio era di 45-50 anni, oggi è praticamente raddoppiato, ecco allora la domanda che si pongono i relatori: “Cosa ne facciamo di questo ulteriore tempo?” Di certo non può essere sprecato e gli organi hanno bisogno di essere “attivi” ed essere attivi nella società di oggi. Infatti, secondo le statistiche, la fascia d’età dai 60-75 anni detta appunto “la terza età”, rappresenta oggi il 24% della popolazione più di quanti sono nella così detta “seconda età” che, di fatto, rappresenta la fascia della popolazione attiva che produce reddito e lavora. 
Ecco allora il senso del testo degli autori Peirone-Gerardi, colleghi di lavoro e coniugi nella vita privata, con il titolo “La saggezza d’argento” visto come filosofia di vita e psicologia della salute per un’attiva terza età. Testo stilato secondo il metodo del “decalogo” che, attraverso aforismi, massime e riflessioni, fornisce una sorta di “linee guida per tutti” in funzione del tempo che passa e dell’avvicinarsi alla vecchiaia e a una sana e consapevole “terza età”. Solo qualche decennio fa il termine anziano era sinonimo di “vecchio, bacucco, solo, malato non autosufficiente” insomma carico di connotazioni negative. Da questo, oggi, si sente sempre più il termine “senior” che rappresenta l’anziano sano, motivato, informato, attivo e protagonista: insomma un ex-anziano ma con un atteggiamento positivo verso la vita con una nuova forma mentis; mentre l’anziano cerca di sopravvivere, il senior invece vive il quotidiano arricchito da una saggezza antica, maturata con l’esperienza.

Saper invecchiare. Come vivere, allora, un tempo sereno quando l’età del corpo conta meno dell’età della mente e dell’anima? Secondo Peirone e Gerardi con la pre-venzione che diventa la parola chiave della psicologia della salute; così come la “pre-parazione” aiuta ad anticipare il male, a prepararsi, a pro-gettare trovandosi in una situazione di continua ricerca di adattamento ed equilibrio. In tal senso allora, la cultura diventa un investimento per la terza età (più cultura vuol dire più salute) e non si può rinunciare, così come non può rinunciare la nostra società che passa inevitabilmente “imparando” anche dall’esperienza degli anziani. Vivi come se dovessi morire domani, impara come se dovessi vivere per sempre” con questa massima di Mahatma Gandhi, concludono i nostri relatori ricordando che oggi è importante la cultura dell’”art of ageing” determinante per costruire la “seniorship” cioè la capacità di attivare, formare l’anziano ad essere un soggetto motivato e attivo fisicamente, mentalmente e soprattutto culturalmente. Quindi soggetto sensibilizzato e ancora padrone della propria condizione esistenziale, culturalmente padrone della propria vita psicofisica.
Spesso, mi sovviene alla mente, l’immagine di mio nonno con il volto segnato dal tempo e dalla fatica e che io definivo “vecchia quercia”, proprio perché esempio significativo di come ci si irrobustisce attraversando le stagioni della vita. Quindi, ciascuno di noi può contribuire, iniziando dalla propria giovinezza, alla realizzazione di una cultura della vecchiaia essendo un po’ tutti come la “vecchia quercia che con la sua solidità sorride al tempo che scorre e, fiduciosa, attende le nuove primavere della vita arricchendosi di saggezza, appunto, anche di quella d’argento.

Paolo Vendola

Scenari futuri per il sistema formativo in Svizzera.

Scenari futuri per il sistema formativo in Svizzera.

Il collocamento dei giovani in percorsi alternativi all’apprendistato.

Zurigo, giugno 2012 – Il grado scolastico secondario II: dopo un decennio di regresso ci sarà una sostanziale stabilizzazione degli effettivi verso il 2020. Secondo il nuovo scenario fornito dall’UFFT (Ufficio Federale della formazione professionale e della tecnologia), si conferma che solo circa il 5%-6% del numero totale degli allievi del secondario II è atteso nel decennio in corso nel sistema formativo professionale, principalmente per questioni demografiche. Questa tendenza negativa sarà costante fin verso il 2020, dove ci sarà una fase di stabilizzazione e, successivamente, una ripresa degli effettivi studenti che si inseriranno nel percorso formativo professionale di base.

Questa riduzione dovrebbe rallentare nel 2020, dove seguirà una fase di stabilizzazione anche grazie al cambiamento in atto del collocamento della forza lavoro che prevede una ripresa entro il 2019/20. Nel 2011 il numero di allievi del 1° anno del livello secondario II dovrebbe essere vicino agli effettivi registrati nel 2010 in tutti i campi di studio: formazione professionale di base (dal -0.7% allo +0.1%), maturità professionale (-0.4% allo 0.3%), scuole medie (-0.6% al -0.9%) e le formazioni transitorie “passerella” (-0.5% al -0.6%). Tra il 2010 e il 2020 ci si può aspettare un calo degli effettivi iscritti del 6% nella formazione professionale di base e fino al 4% in quelli di transizione anche dopo diversi anni di stabilità.

Il passaggio al livello secondario II: una cerniera complessa. Il passaggio dalla scuola dell’obbligo al livello secondario superiore è un anello complesso. Seguendo la catena formativa, diversi fattori influenzano in maniera pronunciata sul numero degli studenti dopo il periodo post-obbligo. Questa variazione della demografia scolastica (dopo quindi il 9° anno del livello secondario inferiore) ha un valore dominante nelle scelte future. Si è accertato a livello di studi economici che nel medio/lungo termine chi influenza in maniera significativa nella scelta formativa del futuro sono gli effetti ciclici legati alla situazione economica generale e la modifica in atto nel mercato del lavoro. In questo ci si aspetta una politica federale lungimirante per poter “proiettare” nel futuro il reale fabbisogno delle diverse figure professionali a tutti i livelli tenendo conto anche del mercato del lavoro frammentato e sempre più alla ricerca di professionisti flessibili e capaci di transitare in più carriere professionali attigue.

Due scenari per il futuro modello. L’analisi delle serie temporali dalle statistiche della scuola rivela i meccanismi che hanno finora governato la transizione dalla scuola dell’obbligo al livello secondario e il modello del comportamento passato del numero degli iscritti in ciascun settore. Nel corso degli ultimi trenta anni il tasso di passaggio alla formazione professionale che è generalmente in autunno, in mancanza di un collocamento nel tirocinio, è andato ad accrescere il tasso di disoccupazione giovanile. Da qui si è riscontrata la necessità di fornire programmi di sostegno per i giovani, in attesa di un posto di tirocinio, fornendo percorsi “passarella” atti a rafforzare competenze quali la lingua e la matematica per meglio inserirsi, successivamente, in un apprendistato. Da qui le diverse offerte formative anche in progettazione nel sistema ENAIP Svizzera per creare delle concrete scelte ai giovani senza un collocamento concreto. Per questo motivo l’UFFT presenta diversi scenari per il futuro sviluppo/incremento nel numero di allievi per un passaggio concreto nel livello secondario superiore. Se da una parte vi è un monitoraggio più puntuale (sempre più legato alle variazioni cicliche del mercato del lavoro), dall’altro canto si sta pensando all’attuazione di un sistema formativo ancora più flessibile.

I risultati segnati da differenze cantonali. Qualunque sia la matrice e lo scenario considerato, dobbiamo aspettarci cambiamenti cantonali contrastanti, principalmente legati alle diverse dinamiche demografiche presso l’uscita del nono anno della secondaria inferiore. Così tra il 2010 e il 2020 il numero di 1 ° anno della formazione professionale potrebbe aumentare in quattro cantoni (VD, GE, TI e ZH), mentre si ridurranno ovunque e addirittura oltre il 15% in nove cantoni della Svizzera orientale e centrale. Allo stesso modo, alcuni cantoni potevano contare più iscritti nelle scuole, di maturità nel 2020 rispetto al 2010, mentre altri vedrebbero il loro declino di oltre il 15%. Si denota, quindi, che a livello federale vi è un grande interesse (lo dimostrano gli studi degli ultimi dieci anni) a migliorare le previsioni del collocamento scolastico passando da una modellazione più precisa delle dinamiche in atto della forza lavoro considerando la frammentazione/specializzazione di molte professioni. Non da ultimo va ricordato che a livello federale vi è un grande sforzo se pensiamo alla futura attuazione della nuova legge sulla formazione continua (LFCo) in virtù della necessità sempre più crescente di formazione/aggiornamento lungo l’arco dell’intera vita professionale. Questo spazio formativo è uno dei settori cui ENAIP Svizzera può accedere proponendo/promuovendo diversi percorsi di accompagnamento e di consulenza durante le transizioni di carriera richieste dall’attuale mercato del lavoro.

Paolo Vendola – Direttore ENAIP Svizzera

Finanziamento della formazione continua in attesa della legge nazionale sulla formazione continua.

Zurigo, aprile 2012 – In Svizzera si sta concretizzando una prima importante esperienza per quel che concerne la disciplina in materia di formazione continua. Infatti, già il 21 maggio 2006, il popolo svizzero si era espresso a favore di una regolamentazione in materia. In tal senso la Confederazione ha ricevuto l’incarico di “normare” il settore a livello nazionale. Se prendiamo il capitolato della Costituzione federale, in particolare l’art. 64a, esso recita:

  1. La Confederazione stabilisce principi in materia di perfezionamento.
  2. Può promuovere il perfezionamento.
  3. La legge ne determina i settori e i criteri.

Definizione legge quadro in materia. Su questa base, prevista dal dispositivo di legge, la Svizzera, si è mossa per definire una legge quadro in materia. Infatti, lo scorso 9 novembre 2011, la legge federale sulla formazione continua ha superato i primi di una serie di ostacoli parlamentari. La bozza di progetto della legge federale sulla formazione continua (LFCo) è stata esaminata dal Consiglio federale dando i primi segnali positivi per la consultazione. Questo significa che, assieme alla legge federale sulla formazione professionale (LFPr), ci sarà un vero dispositivo di legge che successivamente sarà regolamentato dalle ordinanze a livello cantonale.

La formazione continua, ancora oggi,  è finanziata in gran parte dal settore privato. Infatti, sono le aziende a fornire un contributo sostanziale (co)finanziando la formazione dei loro collaboratori. A livello statistico, non si conosce oggi il vero ammontare dei contributi finanziari della Confederazione e dei Cantoni destinati al settore della formazione continua. Gli interventi sono così variegati che uno stesso finanziamento può essere richiesto sotto diverse forme e diversi “cappelli” all’interno delle stesse Divisioni dell’Educazione o Dipartimenti cantonali.

Difficoltà ad autofinanziarsi. È risaputo, per esempio, che molti adulti fanno difficoltà ad autofinanziarsi un percorso di formazione continua, anche perché in alcuni settori specialistici o per impiegati a tempo pieno e con alte qualifiche vi sono costi troppo elevati impossibili da seguire senza un sostegno finanziario. Questo significa creare una discriminante e quindi non garantire le pari opportunità nell’accesso alla formazione continua.

Postulato. Per questo motivo, sin dal 2001 si era postulato il principio del “Sostegno alla formazione continua orientata alla domanda” chiedendo al Consiglio Federale di favorire il finanziamento della domanda e non quella dell’offerta formativa. Questo significa che il sostegno finanziario è accordato alle persone (una sorta di vaucher formativo) che intendono intraprendere un percorso di formazione continua, piuttosto che finanziare in primis le istituzioni formative. Questa modalità cambia la prospettiva dove al centro non vi è l’offerta formativa bensì la domanda. È un modello di promozione della formazione mirata e più idonea agli adulti nel pieno processo lavorativo visto come sostegno alle persone interessate/motivate a seguire una formazione continua piuttosto che visto come sussidio alle istituzioni.

Questo modello, in consultazione nella LFCo può essere interessante per le istituzioni pubbliche e private preposte alla formazione continua per creare/progettare pacchetti formativi specifici e di qualità volti ad un pubblico sicuramente con l’interesse e l’intenzione di frequentare per motivi di crescita professionale, avendo come obiettivo la massima resa nel percorso formativo. Anche un istituto come il nostro, l’ENAIP Svizzera, può essere interessante definire/attivare pacchetti formativi e di consulenza “on-demand” per pubblici specifici passando dalla nostra rete e partenariati sociali.

In definitiva, un sistema che permette di centrare l’esigenza della singola persona con tutti i suoi bisogni formativi e di crescita professionale.

Paolo Vendola – Direttore ENAIP Svizzera

ENAIP Svizzera: la promozione di progetti di integrazione nelle singole realtà regionali in Svizzera.

Zurigo, novembre 2011 – A detta di molti esperti stranieri, il modello elvetico di integrazione degli stranieri, ha funzionato meglio rispetto ad altri Paesi in quanto la struttura federalista ha lasciato ai Cantoni la gestione del problema con interventi più incisivi e mirati nel territorio.
In ogni zona della Svizzera, i progetti di integrazione sono stati orientati ad utilizzare i luoghi di incontro degli immigrati come luoghi di scambio di esperienze, di pensieri e cultura passando p. es. anche dai club sportivi. Nella Svizzera tedesca sono molte le esperienze che vanno sotto il nome di “Sport und Integration” cioè lo sport che diventa mezzo veicolare per permettere un avvicinamento degli stranieri alla realtà locale. Molti Cantoni si sono adoperati anche per consentire una migliore comprensione del territorio da parte di immigrati passando dall’integrazione scolastica dei propri figli, quindi, in questo caso dall’interazione genitore e figli.

Nello sviluppo di quasi tutti i progetti consolidati dell’ENAIP in Svizzera (Lucerna e Zurigo rappresentano i maggiori interventi e richieste di sussidio cantonale) si è potuto constatare che le maggiori problematiche emergono nell’area adolescenti. Tutti i giovani immigrati dei diversi gruppi etnici, presentano (rispetto alla realtà locale) una sorta di incertezza della propria identità (del sé visto come individuo) rispetto all’identità ricevuta di riflesso dai propri genitori esternando una sorta di inadeguatezza di valori ereditati dai genitori che da decenni vivono in Svizzera.
Da qui nasce una prima nostra riflessione che nella gestione di progetti volti all’integrazione è necessaria una sorta di scambio tra le famiglie e un’associazione sociale e/o culturale, siano esse le stesse scuole, uffici di orientamento, enti formativi che con la loro presenza possono in qualche modo orientare/accompagnare le persone facendo fronte alle diverse esigenze e garantendo un interscambio tra “i nuovi arrivati” e la popolazione locale.
Un’altra importante riflessione si rivolge al processo di apprendimento della nuova lingua da parte di giovani immigrati (italiano, tedesco e francese) perché con essa i giovani apprendono i tratti culturali del vivere sociale e locale che, spesso, sono in contrasto con quanto vissuto nei Paesi d’origine e/o con quanto veicolato dai loro genitori. Questo momento formativo diviene un fattore determinante ed importante per la formazione dell’identità del giovane all’interno del suo processo di integrazione.
In questo senso è importante e necessario, nella presentazione di interventi formativi, proporsi come interlocutori e mediatori culturali per migliorare il processo di integrazione e in’ultima analisi la reciproca comprensione tra due culture/tradizioni.
Nei vari progetti sostenuti in passato dalla CFS/EKA (Commissione Federale per gli stranieri) ed oggi dai rispettivi Uffici Cantonali per l’Integrazione emerge sempre più come il ruolo della lingua e cultura d’origine svolge un ruolo importante nel processo di integrazione dei giovani di origine straniera. La stessa raccomandazione viene anche dalla Conferenza svizzera dei direttori cantonali della pubblica educazione (CDPE) che più volte e in diversi documenti recenti ha posto l’attenzione sul ruolo fondamentale che svolge la famiglia non solo nel processo di integrazione ma anche per il successo scolastico dei giovani di origine straniera.
Da queste riflessioni appare chiaro come ENAIP Svizzera, con la sua presenza di cinquant’anni nel territorio e con la sua tradizionale vocazione verso la promozione sociale e professionale delle fasce deboli e straniere, si propone e promuove in continuazione progetti (grazie anche al sostegno dei Cantoni) finalizzati ai processi di integrazione delle diverse comunità e, rispettivamente, delle nuove migrazioni in Svizzera. Questa attenzione continua verso la persona, con le sue sensibilità e le sue esigenze formative/educative, è parte integrante del nostro “fare quotidiano” nella formazione e nella consulenza professionale grazie anche all’appartenenza al sistema ACLI che, assieme al Patronato ACLI, rappresenta un modo concreto di crescita e di partecipazione alla realtà sociale del luogo in cui viviamo ed operiamo.

Paolo Vendola
Direttore ENAIP Svizzera

La formazione che porta lontano. Scambi e programmi di mobilità della Fondazione CH

Zurigo, maggio 2011 – Lasciando un po’ alle spalle la struttura formativa “tipicamente corsuale”, l’ENAIP Svizzera intende raccogliere nel prossimo futuro le nuove sfide formative proposte dal sistema educativo svizzero, ma anche con una sua capacità di lettura del territorio con le sue esigenze, creando/partecipando ad attuare strumenti efficaci per far fronte alle sfide del sistema di formazione continua e permanente, anche con uno sguardo attento all’obiettivo della strategia Europa 2020 che vede coinvolta anche la Svizzera tramite la “CH-Stiftung” nei programmi Grundtvig e Comenius.

Nel seminario di chiusura dei Progetti ENAIP con il Ministero del Lavoro italiano dello scorso marzo, non a caso è intervenuta la sig.ra Monika Eicke, responsabile per la Svizzera dei programmi europei citati. Infatti, a partire dal gennaio 2011 la Svizzera non è più un “partner silente” ma è entrata a pieno titolo nel programma di Apprendimento permanente europeo (Lifelong Learning) che apre interessanti scenari nell’ambito della formazione degli adulti attraverso Grundtvig, un sottoprogramma suddiviso in sette diverse azioni decentrate che si rivolge agli istituti e al personale del settore così come ai discenti adulti. I partecipanti a tali programmi possono quindi chiedere il sostegno finanziario della Fondazione CH.

Grundtvig: apprendimento pratico per gli adulti. Il programma Grundtvig mette l’accento sui bisogni d’apprendimento e di studio dei formatori che si occupano di formazione degli adulti e/o come insegnamento «alternativo», a tutte quelle organizzazioni che lo propongono come servizio. Inoltre, questi programmi, portano a contribuire allo sviluppo del settore dell’educazione agli adulti e permettere ad un maggior numero di persone di vivere un’esperienza educativa, generalmente in un altro Paese europeo. Lanciato come programma nel 2000 e facente parte di un programma globale per l’educazione e la formazione lungo tutto l’arco della vita, Grundtvig mira ad offrire agli adulti la possibilità di migliorare le loro conoscenze e competenze, facilitando il loro sviluppo/crescita personale e rinforzare le loro prospettive d’impiego.

Questi scambi migliorano le competenze linguistiche e l’esperienza di vivere in ambienti multiculturali. Non è da trascurare il fatto che sono tutti fattori che aumentano il grado di successo nel mercato del lavoro. Il Programma, contribuisce altresì, a prendere maggior coscienza del problema dell’invecchiamento della popolazione in Europa. Questo programma non coinvolge soltanto gli insegnanti, formatori, personale nell’ambito educativo o Enti che promuovono tali servizi, bensì anche tutti gli attori coinvolti nella formazione degli adulti.

Quindi coinvolge associazioni, servizi di orientamento e informazione, organismi politici specifici sul tema formativo, le organizzazioni non governative (ONG), le imprese, i centri di ricerca ed i gruppi di volontariato. Il programma finanza un ampio ventaglio di attività, in particolare quelli che sostengono lo studio all’estero di persone implicate nella formazione degli adulti, in progetti di scambio e/o altre esperienze professionali. Così come vengono finanziate altre iniziative di messa a rete di esperienze professionali e formative delle diverse organizzazioni in diversi Paesi europei.

Tra gli obiettivi specifici di questo programma vi sono quelli di accrescere il numero dei discenti adulti a 25000 entro il 2013 e migliorare la qualità delle loro esperienze, svolte nel Paese d’origine o all’estero. Vi è anche quello di migliorare le condizioni di mobilità in Europa e la percezione dell’importanza della cooperazione negli enti formativi preposti alla formazione degli adulti, nonché di sensibilizzare/garantire l’accesso al sistema formativo degli adulti a tutte le persone ai margini della società che non possiedono una qualifica di base, sostenendo anche le pratiche per l’accesso ai moderni mezzi dell’ICT.

Partendo da questi principi fondamentali, nel progetto ENAIP Svizzera – passando anche attraverso tutta la sua rete presente all’estero – vi è quello di orientare le proposte formative e di possibili servizi/consulenza in forte relazione con i bisogni del mercato del lavoro, passando dai diritti alla cittadinanza del singolo con la sua centralità in quanto individuo con delle necessità/richieste specifiche. Ciò comporta, nel prossimo futuro, un’elevata diversificazione dei prodotti/servizi erogati, facendo tesoro di quanto detto dal Presidente Nazionale, Andrea Olivero, che “siamo persone normali che fanno cose speciali”.

In questo l’ENAIP, tramite tutti i suoi professionisti impegnati nel settore formativo, deve esplicare il suo ruolo futuro.

Paolo Vendola – Direttore ENAIP Svizzera

50 anni di ENAIP Svizzera.

Zurigo, 11 febbraio 2011 – Cinquant’anni di storia, cinquant’anni al servizio della persona nella loro crescita sociale e professionale.
Non è facile per un giovane dirigente, che da pochi anni ha superato la soglia dei suoi primi quarant’anni, raccontare il bene che ha fatto l’ENAIP per la formazione professionale nell’elevare il livello di istruzione di tanti lavoratori in Italia e in tutta la sua rete estera, quindi anche nella nostra realtà in Svizzera.

Storia di un ente. La storia dell’ENAIP nasce idealmente con la nascita delle ACLI. Nel 1946, agli inizi proprio del movimento aclista, venne pubblicato un opuscolo dal titolo “L’istruzione Professionale” a cura del prof. Luigi Palma. La Presidenza Centrale nel presentare tale pubblicazione, metteva al centro dell’operato delle ACLI proprio l’elevamento a migliori condizioni di vita del singolo, passando dalla formazione professionale; se teniamo conto anche del contesto dell’epoca della massa di lavoratori duramente provati dalla tremenda esperienza della guerra. Molti anni dopo, anche Livio Labor, ricorderà che l’interessamento delle ACLI ai problemi della formazione professionale dei lavoratori è, e deve essere una naturale vocazione del neonato movimento. Tant’è che ancora oggi è sancito dagli Statuti ACLI di ogni Nazione ove esiste il “nostro” Movimento, nell’art. 3 cpv. b, che uno dei servizi sociali attraverso le quali le ACLI realizzano una rete di esperienze, di solidarietà, di auto organizzazione e di risposta ai bisogni materiali e sociali delle persone passano “nella formazione ed orientamento professionale e nelle politiche del lavoro”, attraverso l’Ente Nazionale ACLI per l’Istruzione Professionale (ENAIP).
Proprio questo sembra essere ed è giustificata la ragione fondativa dell’ENAIP, sintetizzabile nella parola “elevazione”; dunque un principio di emancipazione socio-culturale del mondo dei lavoratori. Anche il discorso di S.S. Paolo VI nel 1963, ad un Convegno studio ENAIP sulla Formazione professionale, diceva che l’Ente delle ACLI e le ACLI stesse dimostrano una feconda sensibilità nell’interpretare ed anticipare i tempi tenendo conto delle reali esigenze dei lavoratori, così come vi è stato il merito di aver dato origine ad una vasta e promettente rete di scuole professionali atte a dare una risposta concreta ad ogni esigenza formativa.
Anticipare i tempi per un supporto formativo
. Da questi presupposti si può ben capire come a fine anni ’60 cresce l’impegno all’estero tra i lavoratori italiani in Germania, Svizzera e Belgio, prima e poi verso la Francia, Gran Bretagna, ecc. Il Movimento segue le masse migratorie per dare una risposta nel sociale (tutela p. es. attraverso il Patronato ACLI) e subito una risposta a quella massa di lavoratori non qualificati che si trovano proiettati nelle fabbriche di ogni tipo, dove si richiede una certa qualificazione professionale. L’ENAIP partecipa attivamente persino alla definizione della legge-quadro della formazione professionale (legge 845/78), alla luce di una piattaforma intitolata “La riforma della formazione professionale nella prospettiva della piena occupazione e di un nuovo sistema formativo”. Questa legge, negli anni a venire fino alla fine degli anni ‘90, diviene proprio la base per la qualificazione professionale di molti connazionali in Svizzera, che grazie al supporto di fondi del Ministero del Lavoro, acquisiscono titoli di qualifica professionale riconosciuta in diversi settori del mondo del lavoro in Svizzera, permettendo una facilitazione nell’inserimento attivo come forza lavoro qualificata. In molti casi è stata la base anche per l’inserimento nel sistema formativo locale che ha permesso a molti di entrare nel ciclo della formazione continua e permanente permettendo anche una carriera professionale.
Rete formativa moderna. Chiaramente oggi i tempi sono altri, ed altre sono le risposte che l’ENAIP tende a dare attraverso la sua rete internazionale nel creare scambio tra diverse esperienze europee e diventare terreno di scambio delle competenze formative nel Paese in cui si opera, partecipando a programmi formativi con Enti e Istituzioni pubbliche locali. È in questa ottica che negli ultimi anni si sta tentando di dare una collocazione di servizi formativi/consulenza “più integrata” nella realtà locale, assumendo compiti che vanno al di là dell’emigrazione. Oggi, anche ENAIP Svizzera offre le sue azioni formative a nuove fasce di utenza, ai nuovi migranti, con nuovi settori di intervento. Se pensiamo ad un ragionamento puramente statistico oggi, mediamente in un anno, il sistema ENAIP nel mondo produce circa 3500 attività corsuali, con 60000 allievi e con 20 milioni di ore formative. Sono passati per l’ENAIP, in Svizzera, 50 anni di presenza attiva nel settore formativo, ma l’obiettivo di ieri e di oggi resta ancora quello di promuovere un sistema formativo aperto ed integrato, centrato sul diritto del cittadino all’istruzione (qualunque sia la sua provenienza) e alla formazione, in stretta relazione con le politiche del lavoro locale e con uno sguardo attento a quanto si muove nell’ambito formativo europeo.

Paolo Vendola – Direttore ENAIP Svizzera

POVERTÀ E IMPOVERIMENTO IN EUROPA TRA CRISI ECONOMICA E SOGGETTI SOCIALI: CONVEGNO DELLE ACLI

Parigi, 11-13 novembre 2010 – Si è tenuto a Parigi il 4° seminario internazionale di studio su “Povertà e impoverimento in Europa tra crisi economica e soggetti sociali” promosso dalle ACLI, l’ENAIP e la FAI, con il sostegno dell’EZA e della Commissione Europea. Per le ACLI e per la FAI (Federazione ACLI Internazionale), il seminario è stato lo strumento attraverso il quale, queste associazioni, intendono portarci a riflettere su questioni di grande rilevanza sociale, chiamando a confronto le organizzazioni europee che hanno come propria Mission la promozione ed il dialogo sociale, la cultura del lavoro e della cittadinanza. Il seminario ha visto la partecipazione anche di Jacques Delors (già Presidente della Commissione Europea), di Emilio Gabaglio (già segretario generale della Confederazione Europea dei Sindacati), di Conny Reuter (Presidente della Social Platform), di Raf Chanterie (Presidente dell’EZA – Centro Europeo per i problemi dei lavoratori), di Albin Krämer (KAB – Movimento dei Lavoratori Cattolici) e molti altri. Al termine dell’Anno europeo contro la povertà e l’esclusione sociale, le ACLI intendono interrogarsi non solo sull’efficacia delle politiche pubbliche del lavoro e dell’inclusione sociale, ma anche sulla capacità che hanno le reti sociali di rappresentare i soggetti più deboli promuovendo risposte/interventi diretti e indiretti, nuove pratiche dell’associazionismo di promozione sociale con l’idea concreta di trovare strumenti di partecipazione attiva in tutte quelle istanze sia istituzionali europee sia di collaborazione attiva con le altre reti sociali europee pensando anche ad un luogo d’incontro di condivisione e di proposte. Una delle grandi domande che si è posto anche il Presidente della FAI e delle ACLI Nazionali, è sul significato stesso del vivere, oggi, in povertà nell’Unione Europea. Attualmente ben 79 milioni di cittadini comunitari fanno fatica a giungere alla fine del mese e/o a garantire l’istruzione superiore o le cure mediche ai propri figli. Per non parlare dell’attuale crisi economica che mette a rischio di perdita del proprio posto di lavoro a 6 milioni di europei, colpendo comunque le fasce più svantaggiate quali i giovani. Per l’UE diventa, di fatto, una priorità morale, sociale ed economica; ma tutti i soggetti devono sentirsi coinvolti a partecipare attivamente nelle varie azioni di intervento. Per questo, anche le ACLI, viste le proprie finalità statutarie, si sente e deve sentirsi coinvolta ed impegnata con la propria azione sociale attivando il dialogo con tutti gli attori istituzionali e privati. Non a caso anche le politiche sociali europee, nella sua “Strategia Europa 2020”, si inizia a parlare di patto territoriale ma che vede e chiede un maggior coinvolgimento di partner, reti e organizzazioni non governative a sostegno dell’iniziativa sociale per promuovere le istanze dei soggetti più deboli. In questo, la grande esperienza delle ACLI, di più di mezzo secolo, può contribuire all’elaborazione di pratiche dell’associazionismo di promozione sociale condivisibile da tutti quegli attori che già operano a sostegno dei più deboli. Ma su questo punto, anche P. Elio Dalla Zuanna (incaricato nazionale della Conferenza Episcopale italiana per la formazione spirituale nelle ACLI), ci mette sull’attenti a non fare diventare il tema della povertà un tema astratto. Già oggi nel nostro agire quotidiano all’interno delle nostre associazioni facciamo fatica ad andare in certi quartieri poveri; anche nelle nostre stesse città facciamo fatica ad incontrare l’altro, il diverso. Il Presidente ACLI ci rammenta i Discorsi di San Basilio: “Ricorda che il pane che ti sopravanza, è il pane dell’affamato; il vestito appeso al tuo armadio, è il vestito di chi è nudo; le scarpe che non porti, sono le scarpe di chi è scalzo, le opere di carità che non compi, sono altret-tante ingiustizie che commetti”. Ciò significa che oggi il problema non è fare la guerra alla ricchezza ma alla povertà; bisogna stare attenti a quella povertà strisciante (quanti fanno difficoltà ad arrivare alla fine del mese) che porta a non agire a non incontrare l’altro, il più debole. Come associazioni impegnate nel sociale, dobbiamo contribuire con più forza alle politiche pubbliche e richiedere più coraggio con interventi mirati alle istituzioni, alle organizzazioni e contribuendo, semmai, a definire un nuovo modello di sviluppo e di coesione sociale. Anche nel nostro piccolo, nel nostro essere parte della società civile, bisogna avere il coraggio, come diceva Don Tonino Bello, di “essere spina nel fianco della gente che vive nelle beatitudini delle sue sicurezze”.

Paolo Vendola – Giornale Comunità
(ANNO XXXVI – N. 12.2010 – Mensile Cattolico Italiano della Svizzera Orientale)