Episodio 1. Il sentiero e il senso dell’accompagnamento e supporto.
Camorino, agosto/settembre 2017 – Sono passate “solo” due settimane da quella giornata sapientemente organizzata dai collaboratori del Team TRIS di Labor Transfer che ha portato uno sparuto gruppo di persone a ritrovarsi insieme nel nucleo di Curzùtt per poi procedere all’attraversata del ponte Tibetano Carasc.
È partita un po’ in sordina, già prima dell’estate, l’idea di un momento di incontro “fuori sede” dove ritrovarsi e stare insieme come team (pensato come team building a tutti gli effetti), anche alla luce del cambiamento e l’inserimento di nuove risorse avvenute nell’interno stesso del team. A questo momento centrato sullo “stare insieme” è seguito poi una riunione efficace, una sorta di incubatore di idee e spunti di riflessione, anche in virtù dei grandi cambiamenti previsti per Labor e per chi opera nel nostro settore a partire già dal 2019.
Molte sono le emozioni e le riflessioni che sono scaturite da questa giornata e che danno un senso e il senso dello stare in un’azienda, del mestiere che svolgiamo al servizio delle persone. In prima battuta mi sembrava più semplice riportare una cronaca della giornata, ma riguardando alcune foto e rivivendo il momento “vissuto” mi par più sensato riportarlo sotto forma di episodi.
Per raggiungere il ponte tibetano partendo da Curzùtt le mappe e i relativi cartelli dei sentieri riportano una camminata “normale” di circa 40 minuti. Dopo una breve colazione all’Ostello, ci siamo incamminati con brio e allegramente come gruppo e tutti insieme: chi con bastoni da trekking, chi ha creato il proprio bastone ricavato da rami, insomma pronti e via!
Ma, già dopo il primo quarto d’ora e in seguito, si è visto prima il gruppo allungarsi e poi la testa del gruppo sparire tra boschi, rampe e salite e proseguire a ritmi diversi. Mi trovavo anch’io in prima battuta in cima, pian piano sempre più in coda (e già aspettavo gli ultimi…!) e poi, improvvisamente, a metà percorso ho sentito venire sempre meno le forze (diciamo che ero appena rientrato dalle vacanze e qualche aperitivo e relax di troppo hanno giocato la loro parte!) e mi sono ritrovato seduto su un tronco a riprendere fiato con mille pensieri per la testa. È stato qui che ho notato come un collaboratore (dalla verve un po’ da sindacalista per la precisione), era lì che aspettava, mi muovevo e ripartiva anche lui fin quando abbiamo ritrovato il gruppo e con mia grande meraviglia ho notato che anche altri collaboratori cercavano supporto e sostegno dai colleghi. Allora qui mi è venuto in mente di come anche nella nostra quotidianità lavorativa è importante poter contare sull’altro, sul collega: sia il chiedere supporto che ricevere supporto all’interno del team anche nel ruolo di team leader. Si può anche procedere a ritmi e modalità diverse ma lo sguardo verso l’altro, l’attenzione e il supporto diventano fondamentali per poter percorrere un sentiero nella stessa direzione. E poi, raggiunta quella meta comune, si può anche sorridere e rilassarsi sapendo di aver condiviso una “fatica comune” per raggiungere lo stesso obiettivo.
Arrivati a questo punto, ecco il dilemma per alcuni, di attraversarlo quel ponte (con una lunghezza di 270 metri, un’altezza di 130 metri sopra il letto del fiume dal fondo valle e con una pendenza di oltre il 20% sulle entrate), ognuno misurato con le proprie paure ancestrali: vuoi per l’altezza, vuoi per il timore del vuoto o dell’instabilità sotto i piedi.
Ed ecco anche qui osservo come ognuno ha poi adottato le proprie strategie per mettersi in gioco e per superare l’ostacolo. C’è chi ha chiuso gli occhi, chi fissava la maglia a righe della collega che la precedeva, chi addirittura “saltellando” per testare la robustezza del ponte. Ma tutti hanno attraversato quel ponte, un ponte che unisce e crea vicinanza e senso comune e di appartenenza proprio perché si è insieme. Si realizza a questo punto che è possibile “sentirsi” parte di un team se capaci di accogliere l’idea e il punto di vista dell’altro, superando la fase tipica della creazione di un team che è quella della conoscenza reciproca e di non sentirsi parte di un team (dove è ancora forte l’aspetto individualistico).
Episodio 2. La camminata della fiducia.
Ed ecco che un po’ per gioco un po’ per sfida propongo a chi se la sente di attraversare il ponte tibetano bendati, ma con il supporto di un collega che, in una prima fase, accompagna il collega e in una seconda fase lo lascia andare dando a voce le istruzioni sui passi da seguire. In questa fase si sono rese volontarie Nicoletta e Lucia accompagnati da Walter e Manuela. È interessante ed eloquente lo sguardo (Mah, chissà se ce la fa?) di chi accompagna ed il sorriso di chi invece si “lascia guidare ”. Questo esercizio ha avuto come obiettivo quello di migliorare il supporto e la fiducia reciproca, migliorare la consapevolezza del rischio nel superare gli ostacoli. Emblematico anche quando mi sono sentito dire: “Dai, porto io il tuo zaino, visto che condividiamo il peso della pianificazione”. Quella fiducia nell’altro sia esso collega o diretto superiore che porta ad operare in un team più armonioso sapendo che “posso contare” sul collega/collaboratore che “posso fidarmi” anche nell’esternare opinioni e/o punti di vista diversi o tematiche “scomode”, senza vivere il primeggiare “tra pari” in un gruppo, ma in un’ottica di confronto con spirito costruttivo. Oppure, dal punto di vista del team leader, di saper delegare (lasciare andare quello zaino di compiti, mansioni) e fidarsi dell’operato dei suoi collaboratori. Entrare nell’idea che vi sono “cose da team” che vanno nella direzione di garantire il benessere dello stesso per essere poi più efficiente ed efficace in una dinamica aziendale che mette poi in relazione diversi gruppi di lavoro.
Episodio 3. Uniti si cresce, da soli si perde forza.
La fase conclusiva del ritorno dal ponte tibetano è stato quello di rilassarsi con una serie di esercizi Yoga proposti da Roberta che vanno nella direzione di “controllare” la respirazione e recuperare un equilibrio interiore oltre che un maggior equilibrio tra un gruppo di persone. Dopo una serie di scricchiolii di ossa e giunture non più abituate ad un certo tipo di movimenti ecco che si inizia a percepire stabilità perché ognuno di noi ricostruisce il suo contatto con quanto ci circonda. Poi si è passati ad un esercizio definito del “guerriero e dell’albero statico” che mette alla prova l’unità e la stabilità, dove ci si è uniti tenendo le braccia sulle spalle del collega vicino per mettere alla prova l’importanza dell’unità e della stabilità di un team.
Uniti a sorreggere il vicino ci si rafforza anche se l’esercizio proponeva di stare in equilibrio su una gamba. La forza dell’unione è evidente perché “sorreggersi” l’un l’altro porta ad una maggiore stabilità. È quanto ci si auspica in un team dove ognuno supporta l’altro per un obiettivo comune.
Episodio 4. Momento conviviale e riunione produttiva.
Ecco che a conclusione di una serie di attività ci si ritrova in modo più sereno e spensierato a condividere una tavolata che porta, tra il serio e il faceto (persino quello di organizzare un “arzillibus” per colleghi “provati” dallo sforzo della camminata), a parlare di quanto vissuto, a discutere sul prossimo futuro in azienda. Discorsi senza essere imbrigliati da “una trattanda”, ma semplicemente esprimendosi con creatività e proattività.
Con questo spirito (e stanchezza aggiungerei!) si è giunti ad affrontare durante la riunione importanti aspetti sui progetti aperti, sulle novità in arrivo in Labor o sul lavoro di sperimentazione dei nostri colleghi di Chiasso, su altre modalità di accompagnamento degli utenti che passano nei nostri spazi. Una modalità diversa di gestire una riunione dove tutti, sentendosi più rilassati e motivati, hanno fatto emergere interessanti spunti di riflessione e di discussione sul tema dell’accompagnamento e del supporto agli utenti nella loro ricerca impiego.
Epilogo. La giornata volge al temine, è tempo di riflessioni.
A conclusione della giornata, ognuno è rientrato a casa, ma ho avuto la sensazione di vedere negli occhi dei collaboratori una luce diversa, un atteggiamento diverso dopo aver condiviso un’esperienza in comune nell’ottica di rinsaldare e creare un vero “spirito di squadra”, di stima e fiducia reciproca. Ognuno, evidentemente, con le sue peculiarità, punti forti e deboli. È emersa una crescita dell’aspetto performante in un team: momento in cui si vede e si percepisce il team pronto a lavorare in futuro in un’atmosfera aperta e fiduciosa, dove ha meno peso la gerarchia e più importanza la flessibilità all’interno del gruppo.
Un’esperienza da condividere e da rivivere sotto ogni punto di vista e aspetto nella logica di una strategia aziendale verso il benessere dei propri collaboratori per dare risalto e maggior senso di appartenenza all’azienda per cui si opera.
Ritengo sia stato un buon esempio di “lavoro di squadra” che ha visto tutti i componenti partecipi e coesi e che ritorna utile all’interno di un’azienda nell’ottica del suo consolidamento che passa da un cambiamento positivo, che auto-apprende e cresce.
Una spinta che (in questo caso) viene dal basso, un cambiamento che se curato va nella direzione del gruppo che diviene leva strategica per la crescita aziendale poiché vede il gruppo di collaboratori con atteggiamento positivo, proattivo e fiducioso nei confronti della leadership e del management. Allora ha senso, come diceva Albert Einstein, che “abbiamo bisogno di nuove riflessioni per affrontare i problemi creati dai vecchi modi di pensare”.
Per questo ben vengano momenti come quello vissuto ed altri ancora di team-building di questa portata o di più ampia dimensione che inducono a cambiare il paradigma della conduzione verso una forma sociale legata alla maggior relazione del singolo e tra i singoli individui all’interno dell’azienda.
Paolo Vendola – Team Leader TRIS (Labor Transfer – Camorino)